La denuncia, presentata dal Pubblico Ufficiale o dal privato, è uno dei mezzi attraverso il quale il Pubblico Ministero o la polizia giudiziaria prendono conoscenza di un fatto costituente reato (artt. 331 e ss. c.p.p.). Ai privati è anche concessa la facoltà di presentare denuncia oralmente (art. 333 c.p.p.). Nel caso di denuncia, il procedimento si avvia d'ufficio, cioè senza che sia necessario l'intervento della persona offesa dal reato.
Per poter invece procedere in ordine ad alcuni reati specifici, la legge richiede una ulteriore condizione (c.d. condizione di procedibilità) che consiste frequentemente nella cosiddetta querela (ad esempio per i reati di lesioni, percosse, ingiuria, diffamazione, etc.). Per querela si intende la manifestazione di volontà della persona offesa che si proceda in ordine ad uno specifico reato (artt. 336 e ss. c.p.p.). Anche la querela può essere presentata oralmente (e in questo caso si redige un verbale per iscritto ad opera dell'autorità che la riceve) e può essere altresì rimessa (cioè ritirata) o rinunciata (se non è stata ancora presentata). La legge prescrive inoltre che la querela debba essere presentata entro il termine perentorio di tre mesi.
L'art. 124 c.p. prescrive che la querela sia presentata nel termine perentorio di tre mesi dalla notizia del fatto costituente reato.
La giurisprudenza ha chiarito che tale termine comincia a decorrere dalla effettiva conoscenza del fatto che ha la persona offesa, anche in relazione alla sua qualifica di reato e alla individuazione dell'autore. Si può, ad esempio, sapere che è accaduto un determinato evento, ma non avere subito gli elementi per qualificarlo quale reato, oppure può esserci bisogno di tempo per esperire alcuni accertamenti al fine di conoscere chi è l'autore del fatto. In tali casi il termine comincerà a decorrere dal momento in cui il quadro oggettivo e soggettivo sarà completo, indipendentemente dal momento in cui è verificato il fatto.
Inoltre, l'onere di provare che la querela è stata proposta non tempestivamente grava su chi vuole far valere la decadenza, e l'eventuale incertezza deve essere interpretata a favore del querelante.
Se si è persona offesa dal reato, per ottenere il dovuto risarcimento, si hanno due possibilità alternative.
Con la previsione di questi due canali alternativi, il legislatore ha voluto far valere il principio dell'indipendenza del giudicato penale rispetto al giudicato civile o amministrativo (salvi i casi di pregiudizialità assoluta del giudizio civile su quello penale in ordine alle controversie su questioni attinenti la cittadinanza e lo stato di famiglia, art. 3 c.p.p.). Nel caso di giudizio civile, il risarcimento richiesto dovrà comprendere anche il danno morale (cioè il danno non patrimoniale), normalmente escluso nelle domande che non trovano origine in fatti costituenti reato.
Per dolo si intende la consapevolezza e la volontà di commettere un reato. Il dolo è uno degli elementi essenziali al fine di qualificare ciascun reato (è detto, in particolare, elemento soggettivo, perché riguarda uno stato psicologico).
L'art. 42 c.p. prevede infatti che nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà, ma fa salvi alcuni casi espressamente previsti dalla legge in cui può aversi reato anche in mancanza di dolo (sono i casi dei reati preterintenzionali e dei reati colposi).
Si determina uno stato soggettivo di preterintenzione quando si vuole porre in essere un reato, ma le conseguenze della propria azione sono più gravi di quanto previsto (ad esempio, si vuole colpire con un pugno per provocare una percossa e invece si determina la morte della persona colpita). Le uniche figure previste nel nostro ordinamento sono l’omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) e l’aborto preterintenzionale (art. 18, c. 2, L. 194/1978).
Si ha invece l'elemento soggettivo della colpa quando manca la volontà di determinare un qualsiasi evento costituente reato, ma l'evento si verifica ugualmente per negligenza, imprudenza, imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (art. 43 c.p.). Anche le ipotesi di reati colposi sono tassativamente previste dalla legge (ad esempio: omicidio colposo [art. 589 c.p.] o lesioni colpose [art. 590 c.p.]).
Le contravvenzioni sono punibili sia se commesse a titolo di dolo che a titolo di colpa.
L'art. 52 c.p. (legittima difesa) prevede la non punibilità del fatto se chi lo ha commesso vi è stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta. Tuttavia, lo stesso articolo stabilisce che deve esservi proporzionalità tra la difesa e l’offesa. La reazione è perciò giustificata solo ove sussistano i due requisiti della NECESSITÀ e della PROPORZIONALITÀ tra offesa e difesa.
La giurisprudenza ha chiarito che, relativamente alla legittima difesa, la proporzionalità deve assumersi tra i beni in conflitto. Ad esempio, nel caso di un furto, che presuppone l'offesa all'integrità patrimoniale di un soggetto, non sarà considerata legittima la difesa di chi, per scongiurare tale reato, cagioni la morte del ladro, posto che in questo caso si va a ledere il bene della vita che è certamente sovraordinato al bene patrimoniale.
Altre cause di giustificazione sono:
La prescrizione del reato determina l'estinzione dello stesso reato sul presupposto del trascorrere di un determinato periodo di tempo.
I reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo (e un tempo anche la pena di morte) sono imprescrittibili.
L'art. 157 c.p. disciplina il tempo necessario a prescrivere un reato in considerazione della pena stabilita.
La prescrizione estingue il reato:
Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell’aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti.
La Corte Cost. con sent. 31.5.1990, n. 275 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'art. 157 c.p., nella parte in cui non prevede che l’imputato possa rinunziare alla prescrizione del reato.
La prescrizione può essere sospesa (e il termine ricomincia a decorrere dal momento della sospensione) o interrotta (e il termine ricomincia a decorrere nuovamente dal momento dell'interruzione), ma in ogni caso i termini previsti all'art. 157 c.p. non possono essere aumentati oltre la metà.
La L. 468/99 e il relativo D.lgs. di attuazione 274/00 hanno disciplinato la figura del Giudice di Pace penale, assegnando allo stesso la competenza funzionale per alcuni particolari reati in ordine soprattutto a fenomeni di microconflittualità tra privati.
Tali reati sono (art. 5 D.Lgs. 274/00):
- Percosse (art. 581 c.p.)
- Lesione personale (art. 582 c.p.)
- Lesioni personali colpose (art. 590 c.p.)
- Omissione di soccorso (art. 593 c.p.)
- Ingiuria (art. 594 c.p.)
- Diffamazione (art. 595 c.p.)
- Minaccia (art. 612 c.p.)
- Furti punibili a querela dell'offeso (art. 626 c.p.)
- Sottrazione di cose comuni (art. 627 c.p.)
- Usurpazione (art. 631 c.p.)
- Deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi (art. 632 c.p.)
- Invasione di terreni o edifici (art. 633 c.p.)
- Danneggiamento (art. 635 c.p.)
- Introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo (art. 636 c.p.)
- Ingresso abusivo nel fondo altrui (art. 581 c.p.)
- Uccisione o danneggiamento di animali altrui (art. 638 c.p.)
- Deturpamento e imbrattamento di cose altrui (art. 639 c.p.)
- Appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito (art. 647 c.p.)
- Somministrazione di bevande alcooliche a minori o a infermi di mente (art. 689 c.p.)
- Determinazione in altri dello stato di ubriachezza (art. 690 c.p.)
- Somministrazione di bevande alcooliche a persona in stato di manifesta ubriachezza (art. 691 c.p.)
- Atti contrari alla pubblica decenza. Turpiloquio (art. 726 c.p.)
- Inosservanza dell'obbligo dell'istruzione elementare dei minori (art. 731 c.p.)
Oltre ad altre fattispecie di reato previste da normative speciali.
Per i reati procedibili a querela, pertanto, la persona offesa avrà la possibilità di richiedere l'esercizio dell'azione penale attraverso il normale strumento della querela, oppure tramite ricorso immediato al Giudice di Pace ai sensi della'art. 21 del D.l.vo 274/00. La presentazione della querela non impedisce comunque che venga successivamente inoltrato anche il ricorso, purché sia rispettato il termine di tre mesi.
Su impulso di una disposizione comunitaria (R[9]89), la legge 547/93 ha introdotto nel nostro ordinamento una serie di reati (cosiddetti informatici) caratterizzati dalla previsione che l'attività illecita abbia come oggetto o mezzo del reato un sistema informatico o telemetico.
Tali nuove fattispecie di reato sono:
- Esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 c.p.)
- Attentato ad impianti di pubblica utilità (art. 420 c.p.)
- Falsità in documenti informatici (art. 491-bis c.p.)
- Accesso abusivo ad un sistema informatico (art. 615-ter c.p.)
- Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso (art. 615-quater c.p.)
- Diffusione di programmi diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico (art. 615-quinquies c.p.)
- Violazione della corrispondenza e delle comunicazioni informatiche e telematiche (art. 616, 617-quater, 617- quinquies, 617-sexies c.p.)
- Rivelazione del contenuto di documenti segreti (art. 621 c.p.)
- Trasmissione a distanza di dati (art. 623-bis c.p.)
- Danneggiamento di sistemi informatici o telematici (art. 635-bis c.p.)
- Frode informatica (art. 640-ter c.p.).
Commette il reato di ingiuria (art. 594 c.p.) chi offende l'onore o il decoro di una persona presente, ed è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 516,46.
Commette invece il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) chi offende l'altrui reputazione in assenza della parsona offesa. In questo caso la pena è della reclusione fino ad un anno e della multa fino a € 1032,91.
Dall'ingiuria e dalla diffamazione deve distinguersi il reato di calunnia (art. 368 c.p.) che si ha quando taluno, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad altra Autorità che abbia l'obbligo di riferire all'Autorità giudiziaria, incolpa di un reato una persona che egli sa essere innocente, oppure simula a carico di una persona le tracce di un reato. Per il reato di calunnia la pena è della reclusione da due a sei anni, salvo i casi di aggravante. La giurisprudenza ha chiarito che non è necessario che sia iniziato un procedimento penale a carico della persona offesa dal reato, essendo sufficiente la mera potenzialità che un tale procedimento si avvii.
Chiunque minaccia ad altri un danno ingiusto è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a € 51,65 (art. 612 c.p.). La pena è della reclusione fino ad un anno e si procede d'ufficio, se la minaccia è grave o è commessa con armi, da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico , o valendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete, o da più di cinque persone riunite, mediante l'uso di armi, o da più di dieci persone anche senza l'uso di armi.
Commette invece il reato di violenza privata (art. 610 c.p.) chi, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere qualche cosa. La pena prevista è della reclusione fino a quattro anni.
Commette il reato di percosse (art. 581 c.p.) chiunque perquote taluno, se dal fatto non deriva un pregiudizio all'integrità fisica o mentale della persona offesa. La pena è della reclusione fino a sei mesi o della multa fino a € 309,87.
In caso invece taluno procuri una lesione personale, dalla quale derivi un pregiudizio all'integrità fisica o mentale della persona offesa, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni (art. 582 c.p.).
Se il pregiudizio ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna circostanza aggravante, il delitto è punibile a querela della persona offesa.
La lesione personale è considerata grave, e si applica la reclusione da tre a sette anni:
La lesione personale è considerata gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva:
L'art. 624 c.p. (Furto) prevede che chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire trecentomila [€ 154,94] a un milione [€ 516,46].
Il furto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più circostanze aggravanti.
Chiunque compie il reato di furto mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire seicentomila [€ 309,87] a due milioni [€ 1032,91].
Alla stessa pena soggiace chi compie il furto, sottraendo la cosa mobile a chi la detiene strappandola di mano o di dosso alla persona.
La legge prevede inoltre che, ove ricorrano le seguenti specifiche circostanze aggravanti, la pena per il reato è della reclusione da uno a sei anni e della multa da lire duecentomila [€ 103,29] a due milioni [€ 1032,91]:
Se concorrono due o più delle circostanze prevedute dai numeri precedenti, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra circostanza aggravante comune, la pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da lire quattrocentomila [€ 206,58] a tre milioni [€ 1549,37].
Alcune ipotesi di furto sono perseguibili a querela di parte, e si applica la pena della reclusione fino a un anno oppure la multa fino a lire quattrocentomila [€ 206,58]. Tali ipotesi si verificano:
Si configura invece il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) quando taluno, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso (da intendersi come mera detenzione). Questo reato è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni [€ 1032,91].
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata. Si procede d’ufficio, se ricorrono talune specifiche aggravanti.
Diverso è ancora il caso della ricettazione (art. 648 c.p.) che si configura quando taluno, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare. Questo reato è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da lire un milione [€ 516,46] a lire venti milioni [€ 10329,14].
La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a lire un milione [€ 516,46], se il fatto è di particolare tenuità.
Il reato di ricettazione si configura anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.
Si configura il reato di truffa (art. 640 c.p.) quando taluno, con artifizi o raggiri, inducendo qualcuno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. La truffa è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro:
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze ora enunciate o un’altra circostanza aggravante.
L'art 640-bis c.p. prevede inoltre l'ipotesi della truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche che si configura se il fatto di cui all’articolo 640 c.p. riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee. In questo caso la pena è della reclusione da uno a sei anni e si procede d’ufficio.
Un'ulteriore particolare ipotesi di truffa (frode informatica) è prevista all'art. 640-ter c.p.: chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna circostanza aggravante.
Si configura il reato di usura (art. 644 c.p.) quando taluno si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari. Il reato di usura è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire sei milioni [€ 3098,74] a lire trenta milioni [€ 15493,71]. Alla stessa pena soggiace chi opera in funzione di mediatore.
La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari (L. 7.3.1996, n. 108). Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria. Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.
Le pene sono aumentate da un terzo alla metà:
Nel caso di condanna, o anche di patteggiamento, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni e utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni.
L'art. 635 c.p. (danneggiamento) prevede che chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire seicentomila [€ 309,87].
La pena per il reato di danneggiamento è della reclusione da sei mesi a tre anni, e si procede d’ufficio, se il fatto è commesso:
La particolare ipotesi di danneggiamento di sistemi informatici o telematici è prevista all'art. 635-bis c.p.: chiunque distrugge, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui, ovvero programmi, informazioni o dati altrui, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se ricorre una o più delle circostanze sopra riferite, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.
Si configura il reato di violazione, sottrazione o soppressione di corrispondenza (art. 616 c.p.) quando taluno prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa (violazione), a lui non diretta, oppure sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prender cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta (sottrazione), oppure, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime (soppressione). Il reato è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire sessantamila [€ 30,99] a un milione [€ 516,46].
Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per «corrispondenza» s’intende quella epistolare, telegrafica o telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza.
L'omicidio colposo (art. 589 c.p.), che si configura quando taluno cagiona per colpa la morte di una persona, è punito nel nostro ordinamento con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se l'omicidio colposo è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni dodici.
Il codice penale prevede diverse ipotesi di corruzione:
Art. 318 c.p. (Corruzione per un atto d’ufficio) Il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sé o per un terzo, in denaro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino a un anno.
Art. 319 c.p. (Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio) Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a cinque anni.
La pena è aumentata se il fatto di cui all’art. 319 c.p. ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene.
La pena è aumentata (art. 319-bis c.p.) se il fatto di cui all’art. 319 c.p. ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene.
Art. 319-ter c.p. (Corruzione in atti giudiziari) Se i fatti indicati negli artt. 318 e 319 c.p. sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.
Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni.
Art. 320 c.p. (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio) Le disposizioni dell’art. 319 si applicano anche all’incaricato di un pubblico servizio; quelle di cui all’art. 318 c.p. si applicano anche alla persona incaricata di un pubblico servizio, qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato.
In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore ad un terzo.
Art. 321 c.p. (Pene per il corruttore) Le pene stabilite nel primo comma dell’articolo 318, nell’art. 319, nell’art. 319-bis, nell’articolo 319-ter e nell’art. 320 c.p. in relazione alle suddette ipotesi degli artt. 318 e 319 c.p., si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio il denaro o altra utilità.
Art. 322 c.p. (Istigazione alla corruzione) Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto del suo ufficio, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell’art. 318 c.p., ridotta di un terzo.
Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio a omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell’art. 319 c.p., ridotta di un terzo.
La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’art. 318 c.p.
La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’art. 319 c.p.
Art. 322-bis c.p. (Peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri) Le disposizioni degli articoli 314, 316, da 317 a 320 e 322 c.p., terzo e quarto comma, si applicano anche:
Le disposizioni degli articoli 321 e 322 c.p., primo e secondo comma, si applicano anche se il denaro o altra utilità è dato, offerto o promesso:
Le persone indicate nel primo comma sono assimilate ai pubblici ufficiali, qualora esercitino funzioni corrispondenti, e agli incaricati di un pubblico servizio negli altri casi.
Diversi dalla corruzione sono i reati di: