Cos'è l'interdizione?

Si parla di interdizione in tutti quei casi in cui una persona maggiorenne si trovi in situazione di abituale infermità di mente e sia cioè incapace di provvedere ai propri interessi.

L'interdizione determina una situazione di incapacità legale a compiere atti giuridici identica a quella in cui si trova il minore. Gli atti eventualmente compiuti dall'interdetto saranno pertanto annullabili ad opera del tutore, dello stesso interdetto o dei suoi eredi o aventi causa (art. 427 c.c.).

La domanda per dichiarare l'interdizione può essere chiesta solo da determinati soggetti.

Con la sentenza che dichiara l'interdizione viene disposta la nomina un tutore, scelto di preferenza tra il coniuge che non sia separato, il padre, la madre, un figlio maggiorenne o la persona designata con testamento dal genitore superstite, con il compito di rappresentare legalmente l'interdetto e di amministrare il suo patrimonio.

Già nel corso del giudizio per dichiarare l'interdizione, il giudice, se lo ritiene opportuno, può provvedere alla nomina di un tutore provvisorio.

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Quando può essere chiesta l'interdizione?

Al momento della dichiarazione di interduzione, il giudice nomina un tutore con il compito di rappresentare legalmente l'interdetto e di amministrarne il patrimonio.

Il tutore può compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione necessari alla vita quotidiana dell'interdetto, mentre gli atti di straordinaria amministrazione (ad es. vendita o acquisto di beni immobili o di beni mobili di valore, costituzione di pegni o ipoteche, accettazione di eredità) possono essere compiuti solo previa autorizzazione del giudice tutelare o del tribunale, a seconda dei casi.

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Come vengono amministrati i beni dell'interdetto?

Il codice civile stabilisce che possono essere interdetti il maggiore di età e il minore emancipato i quali si trovino in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi (art. 414).

Per abituale infermità di mente, la giurisprudenza non intende solo l'esistenza di una tipica malattia di mente, con caratteristiche partomogiche ben definite, ma anche la semplice presenza di un'alterazione nelle facoltà mentali, tale da dar luogo ad un'incapacità totale o parziale di provvedere ai propri interessi (cass. 2553/76).

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Cos'è l'inabilitazione?

L'inabilitazione è una situazione di incapacità giuridica relativa, di minore importanza rispetto all'interdizione.

Essa può essere chiesta in alcune specifiche ipotesi, quando la situazione del soggetto non è così grave da comportare una pronuncia di interdizione.

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Quando si può chiedere l'inabilitazione?

L'art. 415 del codice civile stabilisce quali sono le persono che possono essere inabilitate:

  1. il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo all’interdizione;
  2. coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcooliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici;
  3. il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un’educazione sufficiente quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi, salva la possibilità, per i casi più gravi, di ricorrere all'interdizione.

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Come vengono amministrati i beni dell'inabilitato?

Nel caso di inabilitazione non si ha una vera e propria rappresentanza legale in capo ad un altro soggetto, come accade nel caso del tutore per l'interdetto, ma una forma di assistenza devoluta ad un curatore nominato dal giudice tra gli stessi soggetti indicati dalla legge nel caso di tutela.

Il curatore pertanto non si sostituisce all'inabilitato, ma si limita ad integrare la volontà dell'inabilitato nel compimento degli atti giuridici che lo riguardano.

Se poi si tratta di compiere atti di alienazione o di straordinaria amministrazione, si deve chiedere l'autorizzazione al giudice tutelare o al tribunale, a seconda dei casi.

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Chi può presentare la domanda per interdizione?

L'istanza per richiedere che venga dichiarata l'interdizione o l'inabilitazione può essere presentata (art. 417 c.c.):

  1. dal coniuge,
  2. dai parenti entro il quarto grado,
  3. dagli affini entro il secondo grado,
  4. dal tutore,
  5. dal curatore,
  6. dal Pubblico Ministero.

Non può pronunciarsi l'interdizione o l'inabilitazione senza che si sia proceduto all'esame dell'nterdicendo o dell'inabilitando (art. 419 c.c.).

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È possibile revocare l'interdizione o l'inabilitazione?

In qualsiasi momento, quando cessa la causa dell’interdizione o dell’inabilitazione, queste possono essere revocate con sentenza (art. 429 c.c.).

La domanda per la revoca dell'interdizione o dell'inabilitazione può essere presentata dal coniuge, dai parenti entro il quarto grado o dagli affini entro il secondo grado, dal tutore dell’interdetto, dal curatore dell’inabilitato o su istanza del pubblico ministero.

Il giudice tutelare deve comunque vigilare per riconoscere se la causa dell’interdizione o dell’inabilitazione continui. Se ritiene che sia venuta meno, deve informarne il pubblico ministero affinché presenti la domanda di revoca.

L’autorità giudiziaria che, pur riconoscendo fondata l’istanza di revoca dell’interdizione, non crede che l’infermo abbia riacquistato la piena capacità, può revocare l’interdizione e dichiarare inabilitato l’infermo medesimo (art. 432 c.c.).

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È possibile chiedere la revoca del tutore o del curatore?

Il giudice tutelare può rimuovere dall’ufficio il tutore qualora egli (art. 384 c.c.):

  1. si sia reso colpevole di negligenza,
  2. abbia abusato dei suoi poteri,
  3. o si sia dimostrato inetto nell’adempimento di essi,
  4. sia divenuto immeritevole dell’ufficio per atti anche estranei alla tutela,
  5. ovvero sia divenuto insolvente.

Il giudice non può rimuovere il tutore se non dopo averlo sentito o citato, può tuttavia sospenderlo dall’esercizio della tutela nei casi che non ammettono dilazione.

Il tutore che cessa dalle funzioni deve fare subito la consegna dei beni e deve presentare nel termine di due mesi il conto finale dell’amministrazione al giudice tutelare per l'approvazione.

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Cos'è l'amministrazione di sostegno?

L'istituto dell'amministrazione di sostegno è stato introdotto recentemente dalla Legge 9 gennaio 2004, n. 6.

L'amministrazione di sostegno ha come finalità quella di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente.

Tale nuovo istituto va ad aggiungersi agli altri istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, introducendo un nuovo strumento giuridico, certamente più adatto ad una maggiore conservazione dei soggetti interessati nel contesto sociale.

L'amministrazione di sostegno può così riguardare anziani, disabili, alcolisti, tossicodipendenti, carcerati, malati terminali, non vedenti e tanti altri soggetti per i quali non sia opportuno procedere ad una richiesta di interdizione o di inabilitazione.

Queste categorie di persone potranno così ottenere (anche in considerazione della propria futura incapacità) che il giudice tutelare nomini un amministratore, che abbia cura di loro e del loro patrimonio.

La persona interessata può, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, presentare direttamente la richiesta al giudice tutelare della propria zona di residenza o anche domicilio. Entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta, il giudice provvederà alla nomina dell'amministratore con decreto immediatamente esecutivo.

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